Paganini e la chitarra

Nasce a Genova nel 1782 e gli archetipi che spesso caratterizzano questa città segneranno profondamente il carattere, l’indole e la storia del grande virtuoso.
Paganini fu un bambino dì cagionevole salute e questa fallo lo obbligò per tutta la vita a doversi confrontare con il proprio corpo, in una continua lolla fatta di smodate intemperanze e fatiche di ogni genere, intercalate da periodi di forzato riposo: questa continua alternanza fu sicuramente una delle ragioni che lo segnarono fatalmente, accelerando la sua fine.

Bambino prodigio, ricevette i primi rudimenti muscali dal padre, che lo introdusse prima, quasi come un gioco, al mandolino e alla chitarra, per poi serrarlo ben più da presso con lo studio del violino, il cui esercizio assunse al contrailo un aspetto ben più coattivo e rigido. E’ da quell’epoca forse che Paganini cominciò ad identificare gli strumenti violino e chitarra come due aspetti nettamente distinti del suo divenire musicale: più legato alla fatica ed allo stress delle pubbliche apparizioni il primo, sereno e segreto rifugio dalle ambasce mondane la seconda
In quell’epoca, avere un figliolo ‘prodigio’ che potesse esibirsi pubblicamente poteva rappresentare per la famiglia una buona fonte di guadagno; i “bambini prodigio” venivano peraltro visti sempre con stupore, ed era divenuto ormai un uso consolidato presentarli in giro per le varie Corti europee, che ricompensavano molto generosamente questo sollazzo.

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Basti per tutti citare W. A. Mozart che, condotto dal padre “impresario” (in dalla più tenera età dì Corte in Corte, in tounée stressanti che attraversarono tutta l’Europa, ne ricevette in cambio un fisico minato, che lo portò prematuramenle alla morte.
Paganini fanciullo, e praticamente autodidatta, si dimostrò comunque ottimo allievo, tanto e vero che quando fu portato a Parma dal grande violinista e chitarrista Alessandro Rolla, esso si rifiutò di dargli
ulteriori lezioni, in quanto lo giudicò ormai del tutto padrone della tecnica conosciuta, invitandolo conseguentemente ad interessarsi invece alla composizione, cosa che il giovane allievo fece con Gaspare
Ghiretti e Ferdinando Paer.
La carriera violinistica del novello virtuoso ebbe una vera e propria svolta quando egli riuscì letteralmente a sfuggire alle “amorose cure” del padre, intorno ai primi anni del’Ottocento; da allora in poi Paganini cominciò a costruire la propria sfolgorante carriera, diventando contemporaneamente manager e testimonial di se stesso, attraverso una vera e propria oculata campagna pubblicitaria che lo presentava come figura ammantata di mistero, quasi diabolica nelle sue capacità ed appetiti.
Di costituzione nervosa, alto, segaligno, i suoi ritratti e le numerosissime immagini e caricature dell’epoca ce lo presentano come un essere di altri mondi; le sue capacità musicali insuperabili, la sua vita errabonda e sregolata, i suoi eccessi nel gioco e negli affetti (la sua anima “genovese” si manifestò sempre nell’ossessiva attenzione nella gestione dei cospicui guadagni, unitamente alle più disastrose ingenuità commerciali ed alle improvvise generosità), gli amori spesso fonte di scandalo, tutto contribuì a creare intorno a Paganini quell’aura di personaggio sulfureo cui i contemporanei guardavano divisi da sentimenti contrastanti: sbigottito stupore, ammirazione, ma più spesso ancora astioso livore.

Dopo la sua scomparsa, fu proprio quest’ultimo sentimento che, portò quasi nell’oblio l’opera musicale del Grande.
Paganini stesso viveva a volte la figura che lui medesimo aveva contribuito a creare come se ne fosse travolto; specialmente in quei momenti, che coincidevano sempre con quelli di maggiore stress psico-fisico, al suono del violino spesso preferì quello della chitarra, cui delegava il riposo del suo spirito inquieto.
Insomma, mentre il violino fu per il grande virtuoso lo strumento intimamente legato al personaggio pubblico e diabolico, la chitarra  segretissima compagna del Paganini compositore – fu la rappresentazione angelica della sua arte.
Il mondo di questo amore strumentale, che Paganini volle sempre celare agli occhi ed alle orecchie dei più, per paura che la propria immagine ne venisse sminuita commercialmente, risulta inoltre a volte legato ad alcuni veri amori terreni; i 42 “Ghiribizzi” pare infatti che videro la luce per amore di una “Signora di Lucca”,
presso cui egli aveva preso un periodo di riposo, e pure le “Sei Sonate” debbono la loro esistenza grazie alla “ragazza Eleonora”, cui sono dedicate.
Le rare occasioni in cui Paganini si servì della chitarra in pubblico lo fece generalmente per stupire ancor più i suoi ascoltatori, e di fronte ai pochi eletti egli passava dal violino a questo strumento quasi senza soluzione di continuità, ottenendo anche su questa degli “effetti inauditi”, come ebbe a riportale il Berlioz, il quale, a sua volta molto ammirato da Paganini per il suo metodo di orchestrazione, viveva in grandi ambasce economiche poiché non tutti, gradivano questo impetuoso compositore, ed ebbe modo di sperimentare un generoso gesto di solidarietà del grande violinista, nella forma di un regalo di 20.000 franchi, che all’epoca rappresentavano una somma enorme.

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È noto che Paganini usava la chitarra come un compositore tratta normalmente il pianoforte cioè come prima base per una successiva orchestrazione del materiale; ciò si ritrova nell’uso spinto dei pizzicati degli archi o nell’uso quasi esagerato del “tutti’ (come accordi), nonché nella poca indipendenza dell’orchestra stessa dalla linea melodica del solista, che appare spesso proprio come un “cantino” di una grande chitarra. Tutti i meravigliosi artifizi tecnici rimangono patrimonio del violino solista, e non vengono mai trasposti nella compagine orchestrale, che si limita per lo più ad accompagnare: quasi una gigantografia di duo!
Ci furono per Paganini anche dei momenti felici e di gioco con la chitarra; ad esempio il gustoso episodio che Massimo D’Azeglio, anch’egli chitarrista dilettante, ci riporta:
«…erano a Roma Paganini e Rossini; cantava la Liparini a Tordinona, e la seta mi trovavo spesse volte con loro e con altri matti coetanei. S’avvicinava il Carnevale, e si disse una sera: -Combiniamo una mascherata- Che cosa si fa? che cosa non si fa?- si decide alla fine dì mascherarsi da ciechi, e cantare, come usano per domandare l’elemosina. Si misero insieme quattro versacci che dicevano: SIAMO CIECHI/ SIAMO NATI/ PER CAMPAR / DI CORTESIA, / IN GIORNATA D’ALLEGRIA / NON SI NEGA CARITA’. Rossini li mette subito in musica, ce li fa provare e riprovare, e finalmente si fìssa d’andar in scena il giovedì grasso.
Rossini e Paganini dovevano poi figurare l’orchestra, strimpellando due chitarre, e pensarono di vestirsi da donna. Rossini ampliò con molto gusto le sue già abbondanti forme con viluppi di stoppa, ed era una cosa inumana! Paganini poi, secco come un uscio, e con quel suo viso che pareva il manico di un violino, vestito da donna, compariva secco e sgroppato il doppio. Non fo per dire, ma si fece furore; prima in due o tre case dove s’andò a cantare, poi al corso, poi la notte al festino…»

La vita tumultuosa di Paganini ebbe una fine triste, e significativa.
Morto nel 1840 tra grandi sofferenze a Nizza, gli fu negata la sepoltura ecclesiastica, il vescovo di quella città basando questa decisione proprio sulle leggende “sataniche” che Paganini stesso aveva creato per pubblicizzare la sua figura con una autopromozione “ante litteram”. Eppure, egli aveva ricevuto nel 1827 dal pontefice Leone XII le insegne dell’ordine equestre dello Sperone D’Oro! La sua salma, imbalsamata, trovò riposo solamente nel 1876, nel piccolo cimitero “della Villetta” di Parma, dopo aver a lungo girovagato in cerca dell’ultima dimora.

La sua musica subì una sorte simile: nel 1908 una apposita commissione ministeriale, convocata per vagliare il “corpus” dei manoscritti del grande genovese onde deciderne l’acquisto, rifiutò gran parte del materiale, giudicandolo indegno e privo di spessore musicale. Tra questi manoscritti rifiutati, l’intera produzione di Paganini per chitarra, in blocco!
Dopo varie traversie questo fondo, frammentato, si trova oggi in gran parte presso la Biblioteca Casanatense di Roma, presso l’editore Zimmermann di Francoforte sul Meno e presso la Library of Congress di Washington, ma esistono taccuini, fogli ed appuntì sparsi in molti altri archivi, anche privati.

Le opere per chitarra di Paganini conosciute sono di cospicuo numero: molti brani per musica da camera, la prima delle quali, le Variazioni sulla Carmagnola, per li. e chit., fu scritta quando l’Autore aveva 13 anni, e più di 140 composizioni per chitarra sola.
Chissà se un giorno, scappando fuori da qualche archivio, Paganini riuscirà a stupirci ancora?

di Michele Greci

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